
Il libro
Uccidere il Buddha quando lo si incontra significa superare il mito del maestro, il mito del guru, il mito dello psicoterapeuta; significa rinunciare al ruolo di discepolo e distruggere la speranza che qualcuno all’infuori di noi possa essere il nostro padrone.
“Se incontri un Buddha per la strada uccidilo.“
Autore: Sheldon B. Kopp
Collana: Psiche e coscienza
codice ISBN: 9788834000793
pagine: 224
Immagine e descrizione presi direttamente dalla casa editrice Astrolabio.

La recensione
La Macchina della Morte è un libro di Autori Vari, trovato “per caso” in una libreria e letto nel giro di 3 giorni. Inizialmente doveva essere un regalo per un’amica, poi, incuriosito dalla trama, ho scelto di tenerlo e regalarLe un altro libro. Leggo sempre meno romanzi, e questo succede principalmente per due motivi: il primo è che per me leggere un romanzo equivale a vedere un film, che ha come obbiettivo di essere nella maggior parte dei casi uno “svuota mente” (con le dovute eccezioni, vedasi Captain Fantastic). Il secondo motivo è perché sono già impegnato a studiare per l’università e a leggere libri per questa o per il mio lavoro di massofisioterapista, quindi c’è meno tempo (e voglia) di leggere questa tipologia di libri.
Dopo questa doverosa premessa, questo libro presenta almeno due punti a suo vantaggio: parla di un tema (quello della morte) sempre dibattuto e la forma del racconto lo rende sia scorrevole che allo stesso tempo permette di leggere il punto di vista dei vari autori sul tema e farsi un’idea di quello che pensa ognuno di loro.
Nel corso del libro passeremo da un racconto che si domanda a livello adolescenziale cosa vorrebbe dire scoprire come morire (la formazione di vari gruppi a scuola, più o meno “in”), sia cosa vorrebbe dire nel mondo della politica o economico, questo tema.
Ci si chiede poi se è possibile scegliere o no come avverrà), e la conseguente ironia di quello che viene svelato.
Proprio questi due ultimi punti hanno attirato la mia attenzione.
Molti di Noi vorrebbero saper come e quando moriranno. Questo perché permetterebbe di pianificare tutto quello che succede dal momento in cui scopriamo quando e come moriremo fino appunto al giorno della nostra diatriba.
Ma ne siamo proprio sicuri?
Poniamo il fatto che il Nostro sogno sia quello di vivere per sempre e scoprissimo che la nostra vita durerà in eterno, saremmo veramente sicuri di esserne contenti? O magari ci sentiremo via via più tristi perché tutte le persone a noi care ci lasceranno a poco a poco?
O per esempio scoprissimo che moriremo di un infarto, e quindi provassimo in tutti i modi a scampare a questa sentenza impegnandoci a vivere una vita sana (focalizzandoci però solo su questo e perdendo di vista tutto quello che c’è intorno)?
O al contrario, decidessimo di vivere una “vita al massimo” perché tanto si sa già come morirò, e allora tanto vale che mi “brucio io l’esistenza come meglio credo”, però facendo del male anche alle persone intorno a me?
O anche “visto che morirò mi ritiro in me stesso e sopravvivrò fino alla morte”?
O infine, se anche la questione della morte fosse presa come un nuovo status e creasse dei ceti sociali (fa più figo essere un “bruciato” che un “cado a terra e batto la testa”).
Le domande, ovviamente possono proseguire all’infinito.
Mi ha fatto riflettere anche il fatto che in molti racconti lo scoprire come si moriva cambiava la personalità. Molti passavano da essere solari e gentili a “str*nzi” patentati, altri incuranti del pericolo. Prima del bigliettino con su scritta la sentenza, che vita stavano vivendo allora le persone? Il castello di carte è crollato per che motivo?
Per quanto mi riguarda, conoscere il passato e pensare troppo al futuro mi ha portato molte volte a provare ansia e stress quando non raggiungevo quello che mi ero prefissato, o rabbia se c’era qualche intoppo lungo la strada che non mi faceva raggiungere il risultato nel tempo che avevo preventivato.
E così, mi perdevo quello che succedeva nell’unico momento importante e reale: il presente. Non sto dicendo che non sia giusto pianificare, ma la Nostra vita prosegue in una realtà che si scontra con la il modo di vedere le cose degli altri: tutti hanno obbiettivi e raramente sono simili ai nostri, per cui gli intoppi ci saranno sempre. E sopratutto, se veramente sapessimo come potremmo morire, secondo Voi porterebbe più facilmente a vivere pienamente quella vita o a un lento sopravviver fino alla Morte, facendoci provare il rammarico di non aver vissuto fino in fondo?
“Così è diventato il nostro mondo: la pubblicità ha preso il posto della letteratura, gli slogan ci colpiscono ormai più della poesia e dei suoi versi. L’unico modo di resistere è ostinarsi a pensare con la propria testa e soprattutto a sentire col proprio cuore.” Tiziano Terzani
“Una cosa è sopravvivere, un’altra è vivere. La maggior parte degli esseri umani, per paura, sceglie la prima.” Filippo Alosi
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Lorenzo Benetti
Lorenzo Benetti, Massofisioterapista iscritto all‘albo speciale nr. 45, Massaggiatore Sportivo, Riflessologo. Cod.fisc BNTLNZ83B27D325T,
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